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Chiara Scarfò (Genova, 1.05.1977)

Self Shots

 

Chiara Scarfò (Genova, 1.05.1977)

privilegiando oggi la fotografia digitale, conduce da sempre una personalissima ricerca artistica tesa ad esplorare, attraverso la messa in gioco del proprio corpo, quella vita segreta e rivelata, muta sospensione delle immagini, aderire inesauribile ai suoi autoscatti.

Self Shots, forme di vita da dieci secondi una, nella molteplice valenza del termine shot e dell\'omofono shut, sono territori di intensità private e nude.

Dieci secondi, tempo senza tempo, spazio senza spazio, chiusura aperta e strappata, taglio da abitare e attraversare, ricerca continua di un luogo illeso, di un posto chiamato casa.

La superba modestia della corazza

 

giovedì 21 aprile 2005 14.32






\"Sotto le incandescenti stelle
sotto l\'incandescente frutto
la strana esperienza della bellezza,
la sua stessa esistenza è soverchiante
e ti riduce in pezzi,
e ogni fresca ondata di coscienza
è veleno\"

(Marianne Moore)



Non sono in molti a conoscere la teoria delle barriere, un gioco che consiste nel costruire una difesa che regga agli assalti esterni per una durata di tempo limitata. Si gioca in due. Si può scegliere di rimanere all\'esterno ed essere l\'aggressore, in tal caso si deve cercare di trovare il modo di superare la barriera. Altrimenti si può scegliere di rimanere all\'interno ed essere il costruttore di barriere. In tal caso, non devi farmi entrare.

Protect me from ravagement
I\'m ten years old
I don\'t know what to do


Chi non sa di un bosco in quella casa non la riconosce. Eppure lei si spoglia quando ha voglia o quando è stufa degli spifferi che le porte e le finestre non trattengono.
Chi non sa di un buco in quella casa non la riconosce. Eppure lei passa giorni interi a raccogliere le briciole di intonaco che gli angoli conservano.

Non sono in molti a conoscere la superba modestia della corazza, la barriera perfetta.


Protect me myself
I\'m fourteen
There\'s nothing to do


Lei si muove veloce, i rumori sono quelli di ogni giorno, ed ogni giorno qualcosa lentamente muore. Le voci, sempre un attimo prima, cibo illeso davanti alla porta, ombre e luci del mattino a guardia delle entrate. Di notte i fuochi d\'artificio si disegnano in cielo come piante rampicanti che faticano a salire più in alto.

L\'insonnia come combattimento è una strana forma di esilio volontario.


Protect me yourself
I\'m sixteen


Per ogni un nuovo inizio non ci sono resti di placenta, nessuna
membrana da sollevare.

La lavatrice ha il suo respiro, e gli oggetti sono corpi laterali.


Protect me from starving
I\'m eighteen


Non ricordo di averla incontrata pur desiderandone l\'immagine.

Talvolta lei cerca di restare immobile mentre si lascia
scivolare verso il basso, non c\'è attrito ne desiderio di caduta.
Più nuda del nudo non si afferra ne fronteggia il battagliare stanco.


Protect me you
I don\'t know what to do


La porta è sempre stata aperta




Chiara\'SoundWorld



lunedì 25 aprile 2005 14.34




Scrivere del lavoro di Chiara è un\'intrusione, quello che ci mostra basta, e quello che ci mostra è lei, non serve sapere molto altro. Un corpo, uno spazio chiuso, la sua casa, poi dieci secondi, sono il margine che la separa, da noi, da tutto ciò che resta intorno. Più simile all\'attimo prima di venire che al fiato da tirare quando si torna a galla, i rovi nella pancia prima di uno sparo, il silenzio è trafitto e non ci sarà modo di ricucire ciò che per terra è in frantumi. Il suo spazio privato, marea che investe e separa, toglie e rifiuta, allaga e diluisce, non è la camera che guardando immaginiamo o riconosciamo, è quel tempo breve, e quel tempo è suono. Forme di vita da dieci secondi l\'una, e noi li non possiamo entrare, siamo e saremo sempre prima o dopo. Li, abita da sola e ci invia messaggi, mentre si ritrova e si racconta con svogliata disinvoltura si regala. Noi non siamo così indispensabili, ed è un bene. Quello che ci mostra è di una evidenza sconcertante, la cui fascinazione proviene dalla strana forza che lei anima. Chiara abita una battaglia, indossando le sue ferite come indossa la propria nudità, non esibisce, non si esibisce. Lei nuda, più nuda del nudo.


Augusto Petruzzi



(Taranto 1972) Artista e scrittore, vive e lavora a Firenze, dove tra le altre attività collabora come consulente letterario e musicale per la Compagnia Teatrale Krypton ed è redattore per la rivista Drome magazine







Ottanta autoritratti al giorno

 

Una giovane artista che usa il suo corpo al posto del pennello. Per Chiara Scarfò l\'autoscatto è l\'apice dell\'esperienza tra pelle e spazio

14.giugno.2005
Chiara: lunghi capelli neri.
Chiara: occhi verdi limpidi.
Chiara: fragile e determinata.
Ha ventotto anni e alle spalle una densità di vissuto - che non si quantifica in termini di tempo - alla ricerca dell\'arte e, forse, del suo modo di essere artista, su cui preferisce essere vaga. Anni recenti, che descrive come passato remoto, esperienze che appartengono ad un\'altra Chiara Scarfò. La Chiara di oggi lavora con la sua macchinetta digitale, «unico regalo intelligente dei miei genitori», dice sorridendo, da cui non si separa mai. La macchina fotografica è anch\'essa un po\' provata, ma appartiene come Chiara a un passato recentissimo e i suoi cerotti, di nastro adesivo nero, lo testimoniano.

Uscita dal liceo artistico Paul Klee di Genova - che è durato sei anni - Chiara racconta di aver avuto sogni ambiziosi che l\'hanno portata a Roma dove voleva provarsi con molte cose. \"L\'arte drammatica\", la \"scenografia\", anni in cui ha cominciato ad intervenire sulla tela e la carta, «che è stata la mia prima casa».
È stato il tempo in cui si è inventata e ha sperimentato anche con la vita. «Mentre vivevo una serie di esperienze, le più diverse, pensavo che le stavo facendo per un altro obiettivo», mi spiega, «quello di esprimermi». Una specie di consapevole e autonoma bildung, senza romanzo e rigorosamente on the road.
A Roma ha incontrato il pittore Mimmo Nobile, per cui ha posato e con cui ha collaborato per due anni provandosi su una pittura rapida e graffiante legata alla grafica. Lì è entrata in contatto con un gruppo romano di artisti, tra cui Ennio Calabria e Angelo Colagrossi. Poi è tornata a Genova dove ha trovato \"casa\".

Per Chiara, \"casa\" è un concetto che esprime una sensazione della pelle, non un posto. Lei può sentirsi a casa in spazi assolutamente aperti e vasti, «anche al mare, a volte».
Il suo lavoro negli ultimi anni si è incentrato sulla fotografia, ma l\'unico soggetto di Chiara è se stessa. I suoi sono Self Shot, «dove la parola shot vuol dire sia scatto che colpo di pistola», sottolinea. In quei 10 secondi, che separano Chiara da se stessa, che producono un\'impressione sulla pellicola e che sono il suo gesto artistico, lei esiste.
«È il ritmo in cui si compie qualcosa di molto vivo di me». Come fosse l\'espressione massima del suo esserci, del suo godere, del suo esistere, del suo essere artista. Gli autoscatti la impegnano quotidianamente, arriva a 80/100 al giorno, e sono archiviati in cartelle, suddivise per data, a cui lei associa un termine astratto che ne diventa didascalia definitiva: «\"Sola\", \"Muri\", \"Manicomio\", \"Voli\", titoli dati in base», afferma, «a quello che cerco o che trovo negli spazi dove si compie il self-shot».

Una pratica cominciata per caso dentro le quattro mura del suo appartamento in affitto, passata prima per ritratti allo specchio e poi intensificatasi grazie ad un ginocchio rotto. Sempre rigorosamente sola, «che è probabilmente l\'elemento principale» e fondante di un percorso artistico che è anche percorso di vita.
Sola e nuda, perché? «Nuda, perché ho un rapporto particolare con la mia pelle. Spesso è lei a parlarmi di quello che mi succede per prima. È il vestito in cui mi trovo meglio. Al punto che mi riesce sempre più difficile vestirmi, trovare qualcosa in cui sentirmi a mio agio».
Non sarà un rischio concentrarsi su autoritratti fotografici? «Uso me stessa perché mi dà la certezza di esprimere qualcosa che non sia costruito o frutto di pura ricerca artistica. Sono consapevole delle eventuali critiche però, credo che, chi sa guardare, non troverà la mia vanità in questi scatti».

Un esercizio che Chiara pratica solo in alcuni luoghi, appunto quelli dove si sente \"a casa\". Tra questi c\'è l\'ex-manicomio di Quarto, le sue stanze abbandonate e lasciate nel degrado «piene zeppe di vetri rotti e detriti. E pensare che non mi sono mai fatta male».
Lì Chiara ha trovato casa e una famiglia quattro anni fa, quando ha conosciuto Margherita Levo Rosenberg, artista e psichiatra, nonchè direttrice della comunità terapeutica, frequentando il corso di Arte e Terapia del Centro Basaglia. «Niente di trascendentale, magari si pensa che ci mettevamo a dipingere con la musica o roba del genere. Semplicemente eravamo un gruppo di persone che in quel luogo riuscivano ad esprimersi. Perché quello è un luogo che ti accoglie, ti contiene e ti fa crescere».

Il lavoro di Chiara è ancora tutto da scoprire, in particolare quello dell\'ultimo periodo. La sua pittura e i suoi interventi su carta sono invece usciti in tre momenti: nel 2003 al \"Museo della Ceramica\" di Albisola accanto a quello di Leonardo Rosa e Claude Viallat, al \"Museattivo Claudio Costa\" di Quarto dove sono usciti anche sei pezzi su alluminio del suo primo lavoro con la fotografia allo specchio. E, nel 2004, in una personale a Pegli, in un atelier di moda.
Qualcuno però l\'ha già notata. Ha uno spazio sul sito di Exibart, dove periodicamente inserisce un suo nuovo lavoro; ha presentato quattro suoi scatti a Riparte 2004 a Genova. Ed è imminente l\'uscita della rivista Drome Magazine, trimestrale dedicato all\'arte, all\'interno della quale Augusto Petruzzi, redattore del magazine, ha riservato uno spazio per i Self Shot di Chiara.


Tutte le immagini sono foto digitali, 20x25 opere uniche, di Chiara Scarfò

Vasche - 21 Aprile 2005

 

Frame dal primo video - DigitalDream 1.3

Manicomio

 

Siccome i personaggi di questo racconto

sono reali, ogni rassomiglianza con figure

immaginarie verrebbe a essere fortuita.

voce

 

Un posto chiamato casa

 

Vorrei che esistessero luoghi stabili, immobili, intangibili, mai trovati e quasi intoccabili, immutabili, radicati, luoghi che sarebbero punti di partenza..."


Appartenendosi, mai appartenuta, blindata in confini trasparenti come l'acqua lei cerca un posto chiamato casa. La casa è nella sua testa. La sua testa a volte è nei ricordi della vita di un tempo lontano che gli occhi non hanno dimenticato. In questo posto ci sono rovine che non possono morire, qui il tempo non è rettilineo ma procede a balzi. Quando cammina per queste stanze si lascia scorrere, sempre in bilico, a volte è liquida, lentamente o più veloce scorre, altre volte immobile, avverte solo gli abbracci delle pareti. I suoi piedi bruciano ma non subiscono ferite.




"Lo spazio è un dubbio : devo continuare a individuarlo, designarlo. Non è mai mio, mi viene dato, devo concquistarlo."



Per non perdere i suoi confini vaga in un luogo senza argini. Per non perdere i suoi argini vaga in un luogo che non possiede sponde ne rive. Quando le sue difese diventano barriere, di vuoto si riempie la sua pancia ed è allora che prende la via per un luogo dove un tempo trascorse la sua esistenza.





"I miei spazio sono fragili: il tempo li consumerà, li distruggerà e niente somiglierà più a quel che era."





Cerca un posto chiamato casa, l'origine, è la sua casa.





Ci sono persone che non hanno bisogno di assaporare la polpa del frutto per conoscere il pudore e la forza del seme che attende di crescere, hanno la mia ammirazione. Lei invece ha preferito talvolta riempirsi la bocca di veleno ed aderire ad un presente di vetro per scoprire davvero chi fosse e chi potesse diventare. Per questo motivo ha dovuto dividere se stessa, e in quello spazio in quel solco tracciato con una caparbietà ingenua, dolorosa ma inesauribile, alla fine ha trovato qualcosa. E' come aver spodestato l'acqua dal letto di un fiume, era lei a scorrere e una volta in piedi, dopo aver guardato sotto di se, ha trovato le sue impronte scorgendo immagini di una vita passata un tempo appartenutale.




Adesso quelle immagini possiamo vederle anche noi




Un giorno io lo so, ci sarà un posto chiamato casa


nota : Le citazioni sono tratte da Specie di Spazi di Georges Perec



tranne l'ultima dalla canzone A Place called home di Pj Harvey


Testo di Augusto Petruzzi

Mani

 

C\'è una crepa nella mia visione, nel mio corpo, nei miei desideri,
una crepa di sempre, e la follia sempre ne entrerà e ne uscirà,
dentro e fuori.


 

 

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