80 autoritratti al giorno
Ottanta autoritratti al giorno
Una giovane artista che usa il suo corpo al posto del pennello. Per Chiara Scarfò l'autoscatto è l'apice dell'esperienza tra pelle e spazio
14.giugno.2005
Chiara: lunghi capelli neri.
Chiara: occhi verdi limpidi.
Chiara: fragile e determinata.
Ha ventotto anni e alle spalle una densità di vissuto - che non si quantifica in termini di tempo - alla ricerca dell'arte e, forse, del suo modo di essere artista, su cui preferisce essere vaga. Anni recenti, che descrive come passato remoto, esperienze che appartengono ad un'altra Chiara Scarfò. La Chiara di oggi lavora con la sua macchinetta digitale, «unico regalo intelligente dei miei genitori», dice sorridendo, da cui non si separa mai. La macchina fotografica è anch'essa un po' provata, ma appartiene come Chiara a un passato recentissimo e i suoi cerotti, di nastro adesivo nero, lo testimoniano.
Uscita dal liceo artistico Paul Klee di Genova - che è durato sei anni - Chiara racconta di aver avuto sogni ambiziosi che l'hanno portata a Roma dove voleva provarsi con molte cose. "L'arte drammatica", la "scenografia", anni in cui ha cominciato ad intervenire sulla tela e la carta, «che è stata la mia prima casa».
È stato il tempo in cui si è inventata e ha sperimentato anche con la vita. «Mentre vivevo una serie di esperienze, le più diverse, pensavo che le stavo facendo per un altro obiettivo», mi spiega, «quello di esprimermi». Una specie di consapevole e autonoma bildung, senza romanzo e rigorosamente on the road.
A Roma ha incontrato il pittore Mimmo Nobile, per cui ha posato e con cui ha collaborato per due anni provandosi su una pittura rapida e graffiante legata alla grafica. Lì è entrata in contatto con un gruppo romano di artisti, tra cui Ennio Calabria e Angelo Colagrossi. Poi è tornata a Genova dove ha trovato "casa".
Per Chiara, "casa" è un concetto che esprime una sensazione della pelle, non un posto. Lei può sentirsi a casa in spazi assolutamente aperti e vasti, «anche al mare, a volte».
Il suo lavoro negli ultimi anni si è incentrato sulla fotografia, ma l'unico soggetto di Chiara è se stessa. I suoi sono Self Shot, «dove la parola shot vuol dire sia scatto che colpo di pistola», sottolinea. In quei 10 secondi, che separano Chiara da se stessa, che producono un'impressione sulla pellicola e che sono il suo gesto artistico, lei esiste.
«È il ritmo in cui si compie qualcosa di molto vivo di me». Come fosse l'espressione massima del suo esserci, del suo godere, del suo esistere, del suo essere artista. Gli autoscatti la impegnano quotidianamente, arriva a 80/100 al giorno, e sono archiviati in cartelle, suddivise per data, a cui lei associa un termine astratto che ne diventa didascalia definitiva: «"Sola", "Muri", "Manicomio", "Voli", titoli dati in base», afferma, «a quello che cerco o che trovo negli spazi dove si compie il self-shot».
Una pratica cominciata per caso dentro le quattro mura del suo appartamento in affitto, passata prima per ritratti allo specchio e poi intensificatasi grazie ad un ginocchio rotto. Sempre rigorosamente sola, «che è probabilmente l'elemento principale» e fondante di un percorso artistico che è anche percorso di vita.
Sola e nuda, perché? «Nuda, perché ho un rapporto particolare con la mia pelle. Spesso è lei a parlarmi di quello che mi succede per prima. È il vestito in cui mi trovo meglio. Al punto che mi riesce sempre più difficile vestirmi, trovare qualcosa in cui sentirmi a mio agio».
Non sarà un rischio concentrarsi su autoritratti fotografici? «Uso me stessa perché mi dà la certezza di esprimere qualcosa che non sia costruito o frutto di pura ricerca artistica. Sono consapevole delle eventuali critiche però, credo che, chi sa guardare, non troverà la mia vanità in questi scatti».
Un esercizio che Chiara pratica solo in alcuni luoghi, appunto quelli dove si sente "a casa". Tra questi c'è l'ex-manicomio di Quarto, le sue stanze abbandonate e lasciate nel degrado «piene zeppe di vetri rotti e detriti. E pensare che non mi sono mai fatta male».
Lì Chiara ha trovato casa e una famiglia quattro anni fa, quando ha conosciuto Margherita Levo Rosenberg, artista e psichiatra, nonchè direttrice della comunità terapeutica, frequentando il corso di Arte e Terapia del Centro Basaglia. «Niente di trascendentale, magari si pensa che ci mettevamo a dipingere con la musica o roba del genere. Semplicemente eravamo un gruppo di persone che in quel luogo riuscivano ad esprimersi. Perché quello è un luogo che ti accoglie, ti contiene e ti fa crescere».
Il lavoro di Chiara è ancora tutto da scoprire, in particolare quello dell'ultimo periodo. La sua pittura e i suoi interventi su carta sono invece usciti in tre momenti: nel 2003 al "Museo della Ceramica" di Albisola accanto a quello di Leonardo Rosa e Claude Viallat, al "Museattivo Claudio Costa" di Quarto dove sono usciti anche sei pezzi su alluminio del suo primo lavoro con la fotografia allo specchio. E, nel 2004, in una personale a Pegli, in un atelier di moda.
Qualcuno però l'ha già notata. Ha uno spazio sul sito di Exibart, dove periodicamente inserisce un suo nuovo lavoro; ha presentato quattro suoi scatti a Riparte 2004 a Genova. Ed è imminente l'uscita della rivista Drome Magazine, trimestrale dedicato all'arte, all'interno della quale Augusto Petruzzi, redattore del magazine, ha riservato uno spazio per i Self Shot di Chiara.
(intervista di Laura Santini)
Tutte le immagini sono foto digitali, 20x25 opere uniche, di Chiara Scarfò