WONDER WOMAN
Testo in catalogo per mostra "Wonder Woman" Museo SAACS Pieve di Teco (IM),
31 luglio - 30 agosto 2011
L'idea di una una mostra tutta al femminile potrebbe apparire, a una lettura superficiale, desueta se non ghettizzante, ma l'operazione, a partire dal titolo, ha un senso ben preciso e sottolinea tutta la forza che esprimono attualmente le donne nell'arte contemporanea, dove acquistano in tutti gli ambiti sempre più peso e valore: basta visitare qualsiasi esposizione di livello internazionale per rendersi conto che le proposte più innovative, oserei dire più vitali in un panorama spesso ripetitivo e autoreferenziale, provengono proprio dalle artiste, spesso più sciolte e creativamente libere, più aperte alla sperimentazione anche estrema, più propositive.
Senza arrivare ad affermazioni limite che vedono le donne come reale motore attuale dell'arte, come affermato di recente in alcuni articoli, è indubbio che c'è oggi molta forza nell'arte al femminile, una forza nuova ma dalle radici ben salde e storiche che appare in curiosa controtendenza con l'involuzione generale della società che vede invece le conquiste della generazione femminista segnare il passo, quando non arretrare clamorosamente di fronte a modelli dilaganti che solo trenta anni fa sembravano destinati a rapida estinzione, o, al limite, a una risicata sopravvivenza nell'immaginario dei componenti più rozzi del genere maschile.
Paradossalmente si potrebbe affermare che, ora che la rozzezza maschile è al potere, la raffinatezza e la cultura delle donne irrompe nell'arte e conquista una larga fetta di visibilità in un mondo che, in fondo, un po' maschile è sempre stato: certamente le avanguardie storiche potevano vantare molte belle presenze artistiche femminili, di grande peso e personalità, ma, in fondo, erano sempre viste come eccezioni, come esseri straordinari che superavano i limiti del loro sesso, mentre la nuova presenza femminile è molto più diffusa e “normale”, popola le mostre, le accademie, le redazioni dei giornali specializzati con il suo vissuto e la sua ansia di esprimersi, di riappropriarsi in pieno di tutte le possibilità creative.
Le vere antesignane sono state le donne artiste degli anni sessanta e settanta del secolo scorso, contemporanee delle grandi lotte femministe, le prime a differenziarsi dalle avanguardie maschili, pronte a mettersi in gioco in un lavoro di autoanalisi che toccava i temi, allora scottanti, della corporeità, della sessualità, dei ruoli e delle identità, le prime a cercare nuove forme espressive, diverse dalle tecniche tradizionali ma anche dall'oggetto mentale del concettuale, liberando le proprie tensioni nell'happening, nella performance, nel comportamento, mischiando e contaminando i generi e usando senza remore le tecnologie nuovissime come il neonato video.
Sono loro le vere madrine di molte nuove artiste, anche giovanissime, ma la storia e le radici della creatività al femminile sono molto più antiche: l'archeologa Marija Gimbutas afferma che le prime opere d'arte dell'umanità nascono in un mondo matriarcale e portano tutte il marchio simbolico della madre (*), se, come mi piace pensare, ha ragione, questa nuova forza creativa ha tutti i crismi di un ritorno, di una rivalsa, di una rinascita vitale dopo millenni di oppressione soffocante.
Sono forti le donne nell'arte di oggi, quindi, e di questa forza vuole portare testimonianza questa mostra, presentando undici artiste trans generazionali, diversissime tra loro nella poetica ma accomunate tutte da un forte lavoro di autoanalisi relazionale e da sottili fili di affinità che si snodano tra le loro opere, come l'interesse per il corpo, per la memoria e per un certo spirito letterario, tutte caratteristiche che comunque ho sempre trovato molto presenti nelle opere delle donne di ogni tempo, e la cosa non può stupire: la corporeità con tutto il suo corollario (ruoli, stereotipi, capacità generatrice) è contemporaneamente elemento fondante e fardello per ogni esistenza femminile, mentre la letteratura ha spesso avuto il ruolo di unico sfogo creativo segreto, oltre a quello di unico lavoro intellettuale concesso, per innumerevoli generazioni di ragazze.
, L'inizio simbolico del percorso espositivo è rappresentato dal video di Marina Abramovic e dall'opera di Charlotte Moormann, esponenti di quella generazione di antesignane storiche cui ho accennato sopra, mentre Anna Valeria Borsari, artista neo concettuale molto legata alle tematiche della memoria e delle tracce, presenta un'opera che si può definire di land art dove compare una traccia di corporeità, una mano misteriosa sulle rive di un lago. La femminilità orientale, così storicamente diversa dalla nostra eppure così vicina in tanti piccoli particolari, è rappresentata dai lavori dove si intrecciano memoria e letteratura di Ito Fukushi, italo-giapponese alla continua ricerca di un punto di incontro e di fusione tra le due culture in cui si identifica e nelle cui variegate sfaccettature si specchia e dalle fotografie della coreana H
Il vuoto e la disperazione esistenziale sono anche i protagonisti dell'opera fotografica di Grazia Toderi
Il corpo delle donne, il corpo dell'artista dominano poi in maniera indiscussa i video, i frame e le fotografie di tre artiste: Giulia Caira che gioca con la sua immagine, talora deformata, specchiata, compressa da plastiche trasparenti, ingabbiata in ruoli stereotipati interpretati tra l'ironia e l'angoscia, in un profluvio proteiforme di immagini dal sapore post-human, Chiara Scarfò, più intimista e legata alla memoria, che vive l'intimità del proprio corpo come un rifugio interno e personale, quasi un guscio di protezione impenetrabile e protettivo e Giovanna Torresin che fabbrica ad arte, con mezzi digitali, corazze fisiche per il proprio corpo o per parti di esso, corazze difensive e/o offensive e, a volte, terribilmente “agrément” come gli arabeschi che ingabbiano alcuni dei suoi “cuori” qui esposti
I flussi di informazione e le loro dialettiche, danno infine un'impronta precisa e caratteristica al lavoro di Margherita Levo Rosenberg che con le parole e le immagini anche banali che ci soverchiano costruisce forme altre, quasi a dare un senso a ciò che senso non sembra avere, un' ancora di salvezza per non naufragare in un flusso incontrollabile con l'aiuto anche dell'ironia, e di Raffaella Formenti che per questa mostra ha studiato un'installazione particolarissima, sostenuta da un'operazione di grande originalità e di grande importanza semantica, rendendo inscindibili catalogo, mostra e blog dell'artista, tutti elementi indispensabili per avere una visione globale completa dell'operazione: un progetto che dimostra una volta di più la grande forza innovativa delle artiste e la loro capacità di aprirsi alle ultime frontiere della comunicazione anche virtuali o, come dice Raffaella VIR TU ALI.
In sintesi una mostra che offre una piccola panoramica delle opere di queste contemporanee Wonder Women, che non significa superdonne, ma solo donne forti, sicure e, soprattutto, fieramente consapevoli del fatto che essere creatrici è molto più gratificante, nonché divertente, che essere muse ispiratrici.
Elisabetta Rota
Nota: (*)Marija Gimbutas, Il linguaggio della Dea, mito e culto della Dea madre nell'Europa Neolitica.
31 luglio - 30 agosto 2011
L'idea di una una mostra tutta al femminile potrebbe apparire, a una lettura superficiale, desueta se non ghettizzante, ma l'operazione, a partire dal titolo, ha un senso ben preciso e sottolinea tutta la forza che esprimono attualmente le donne nell'arte contemporanea, dove acquistano in tutti gli ambiti sempre più peso e valore: basta visitare qualsiasi esposizione di livello internazionale per rendersi conto che le proposte più innovative, oserei dire più vitali in un panorama spesso ripetitivo e autoreferenziale, provengono proprio dalle artiste, spesso più sciolte e creativamente libere, più aperte alla sperimentazione anche estrema, più propositive.
Senza arrivare ad affermazioni limite che vedono le donne come reale motore attuale dell'arte, come affermato di recente in alcuni articoli, è indubbio che c'è oggi molta forza nell'arte al femminile, una forza nuova ma dalle radici ben salde e storiche che appare in curiosa controtendenza con l'involuzione generale della società che vede invece le conquiste della generazione femminista segnare il passo, quando non arretrare clamorosamente di fronte a modelli dilaganti che solo trenta anni fa sembravano destinati a rapida estinzione, o, al limite, a una risicata sopravvivenza nell'immaginario dei componenti più rozzi del genere maschile.
Paradossalmente si potrebbe affermare che, ora che la rozzezza maschile è al potere, la raffinatezza e la cultura delle donne irrompe nell'arte e conquista una larga fetta di visibilità in un mondo che, in fondo, un po' maschile è sempre stato: certamente le avanguardie storiche potevano vantare molte belle presenze artistiche femminili, di grande peso e personalità, ma, in fondo, erano sempre viste come eccezioni, come esseri straordinari che superavano i limiti del loro sesso, mentre la nuova presenza femminile è molto più diffusa e “normale”, popola le mostre, le accademie, le redazioni dei giornali specializzati con il suo vissuto e la sua ansia di esprimersi, di riappropriarsi in pieno di tutte le possibilità creative.
Le vere antesignane sono state le donne artiste degli anni sessanta e settanta del secolo scorso, contemporanee delle grandi lotte femministe, le prime a differenziarsi dalle avanguardie maschili, pronte a mettersi in gioco in un lavoro di autoanalisi che toccava i temi, allora scottanti, della corporeità, della sessualità, dei ruoli e delle identità, le prime a cercare nuove forme espressive, diverse dalle tecniche tradizionali ma anche dall'oggetto mentale del concettuale, liberando le proprie tensioni nell'happening, nella performance, nel comportamento, mischiando e contaminando i generi e usando senza remore le tecnologie nuovissime come il neonato video.
Sono loro le vere madrine di molte nuove artiste, anche giovanissime, ma la storia e le radici della creatività al femminile sono molto più antiche: l'archeologa Marija Gimbutas afferma che le prime opere d'arte dell'umanità nascono in un mondo matriarcale e portano tutte il marchio simbolico della madre (*), se, come mi piace pensare, ha ragione, questa nuova forza creativa ha tutti i crismi di un ritorno, di una rivalsa, di una rinascita vitale dopo millenni di oppressione soffocante.
Sono forti le donne nell'arte di oggi, quindi, e di questa forza vuole portare testimonianza questa mostra, presentando undici artiste trans generazionali, diversissime tra loro nella poetica ma accomunate tutte da un forte lavoro di autoanalisi relazionale e da sottili fili di affinità che si snodano tra le loro opere, come l'interesse per il corpo, per la memoria e per un certo spirito letterario, tutte caratteristiche che comunque ho sempre trovato molto presenti nelle opere delle donne di ogni tempo, e la cosa non può stupire: la corporeità con tutto il suo corollario (ruoli, stereotipi, capacità generatrice) è contemporaneamente elemento fondante e fardello per ogni esistenza femminile, mentre la letteratura ha spesso avuto il ruolo di unico sfogo creativo segreto, oltre a quello di unico lavoro intellettuale concesso, per innumerevoli generazioni di ragazze.
, L'inizio simbolico del percorso espositivo è rappresentato dal video di Marina Abramovic e dall'opera di Charlotte Moormann, esponenti di quella generazione di antesignane storiche cui ho accennato sopra, mentre Anna Valeria Borsari, artista neo concettuale molto legata alle tematiche della memoria e delle tracce, presenta un'opera che si può definire di land art dove compare una traccia di corporeità, una mano misteriosa sulle rive di un lago. La femminilità orientale, così storicamente diversa dalla nostra eppure così vicina in tanti piccoli particolari, è rappresentata dai lavori dove si intrecciano memoria e letteratura di Ito Fukushi, italo-giapponese alla continua ricerca di un punto di incontro e di fusione tra le due culture in cui si identifica e nelle cui variegate sfaccettature si specchia e dalle fotografie della coreana H
Il vuoto e la disperazione esistenziale sono anche i protagonisti dell'opera fotografica di Grazia Toderi
Il corpo delle donne, il corpo dell'artista dominano poi in maniera indiscussa i video, i frame e le fotografie di tre artiste: Giulia Caira che gioca con la sua immagine, talora deformata, specchiata, compressa da plastiche trasparenti, ingabbiata in ruoli stereotipati interpretati tra l'ironia e l'angoscia, in un profluvio proteiforme di immagini dal sapore post-human, Chiara Scarfò, più intimista e legata alla memoria, che vive l'intimità del proprio corpo come un rifugio interno e personale, quasi un guscio di protezione impenetrabile e protettivo e Giovanna Torresin che fabbrica ad arte, con mezzi digitali, corazze fisiche per il proprio corpo o per parti di esso, corazze difensive e/o offensive e, a volte, terribilmente “agrément” come gli arabeschi che ingabbiano alcuni dei suoi “cuori” qui esposti
I flussi di informazione e le loro dialettiche, danno infine un'impronta precisa e caratteristica al lavoro di Margherita Levo Rosenberg che con le parole e le immagini anche banali che ci soverchiano costruisce forme altre, quasi a dare un senso a ciò che senso non sembra avere, un' ancora di salvezza per non naufragare in un flusso incontrollabile con l'aiuto anche dell'ironia, e di Raffaella Formenti che per questa mostra ha studiato un'installazione particolarissima, sostenuta da un'operazione di grande originalità e di grande importanza semantica, rendendo inscindibili catalogo, mostra e blog dell'artista, tutti elementi indispensabili per avere una visione globale completa dell'operazione: un progetto che dimostra una volta di più la grande forza innovativa delle artiste e la loro capacità di aprirsi alle ultime frontiere della comunicazione anche virtuali o, come dice Raffaella VIR TU ALI.
In sintesi una mostra che offre una piccola panoramica delle opere di queste contemporanee Wonder Women, che non significa superdonne, ma solo donne forti, sicure e, soprattutto, fieramente consapevoli del fatto che essere creatrici è molto più gratificante, nonché divertente, che essere muse ispiratrici.
Elisabetta Rota
Nota: (*)Marija Gimbutas, Il linguaggio della Dea, mito e culto della Dea madre nell'Europa Neolitica.