STASERA
"Piccolo viaggio onirico: bozza per una critica empatico/emozionale
[...]
Per scappare via dalla paranoia
Mescalina (come dopo un viaggio con la mescalina che finisce male)
Nel ritorno
F.Battiato, Shock in my town
Stasera. Stasera. Stasera.
Le parole continuano a rimbombare nella testa, gli occhi faticano a stare dietro ai pensieri. Non resta che chiuderli. E lasciare che le parole diventino immagini.
Per primo arriva il buio, lento come il respiro di un gatto accoccolato a fianco del cuscino, poi arriva il calore, quello di un corpo nudo che si muove ed entra nella stanza, infine arriva il colore. Rosso.
Ora è il momento, apro gli occhi; ma lei non è più qua, è fuggita, si è defilata in punta di piedi dalla porta dalla quale era entrata con i lunghi capelli scuri e la testa reclinata verso il basso, come a sfuggire lo sguardo che possa riuscire a descriverla.
Ancora un passo, un’altra porta e l’attenzione viene distolta, come nelle allucinazioni, i costrutti quotidiani scivolano verso diverse forme di interesse, l’esperienza sensoriale si tramuta quasi in una esperienza mistica che risveglia i sensi.
La comunicazione visuale, con la sua capacità evocativa mi trascina via, e ogni nuova porta che si apre rivela un corpo in mutazione, una pelle che porta in sé i segni del cambiamento.
I colori esplodono, i tratti si rarefanno, diventano vortici di colori, pennellate impetuose che sferzano il corpo come venti di bufera. Poi di nuovo il buio.
La tranquillità. Il viaggio sembra non finire mai, apro un’alta porta, mi trovo catapultato in un altro mondo dove tutto ha una prospettiva diversa.
La dominante verde e lo sguardo sghembo sorreggono il suo corpo ancora nudo, entra luce dalla grande finestra sullo sfondo. Allungo una mano per toccarla, per raggiungerla. Ormai sono quasi convinto che un tocco potrebbe svelarne i segreti, sfiorare la pelle è la chiave per aprire la porta che conduce dove tutto ha origine.
Arrivare finalmente alla stanza senza finestre, il Loft.
Lei è lì, mi aspetta statuaria con le mani dietro la schiena come a dire: bentornato!
Come Alice che insegue il Bianconiglio sperando di trovare delle risposte mi ritrovo nella sua tana, “la strada dell’eccesso porta al palazzo della saggezza” e, ci sediamo per terra, con le gambe incrociate. Ma io non ci sono, non esisto.
Esiste solo Chiara Scarfò e la reinterpretazione pittorica di sue fotografie inedite.
Scatti provenienti da un passato quasi dimenticato riportati in vita prima di essere archiviati perché uniti da un inconsapevole destino comune. In tutte le opere qui riunite è infatti presente una porta o una finestra, dalla quale la figura femminile entra o esce, così come fa la luce che penetra nelle opere, o che addirittura ne viene espulsa per esplodere nei contorni di un bianco quasi allucinatorio.
E sono proprio le porte e le finestre che catturano la nostra attenzione: attraverso di esse il corpo esibito acquista un nuovo significato, una nuova ragione per essere lì, per essere nudo e per essere esposto ai nostri sguardi, come in una performance di body-art diviene strumento di connessione tra piani cognitivi. Laddove ognuno di noi attraversa quotidianamente porte, siano esse oggettive o metaforiche, scopriamo che ogni attraversamento del varco ci conduce in un luogo diverso da quello in cui eravamo in precedenza, ogni passaggio è un nostro cambiamento, sia esso spaziale, temporale o percettivo.
Veniamo alla vita attraverso un varco e ne usciamo per essere tumulati attraverso la terra, tutto in noi è attraversamento.
Cogliere l’essenza dell’opera di Chiara Scarfò non è qui semplice e immediato, nonostante alcuni tratti molto figurativi possano trarre in inganno. L’artista si fa performer di sé stessa attraverso l’elaborazione di un suo scatto fotografico, per poi reinterpretarsi ancora come opera pittorica, in un gioco di specchi che sembra rimandarsi all’infinito come un mandala, come ad un sogno dentro al sogno dove “i desideri nascosti, appena intuiti vanno talvolta a formare torbidi e pericolosi mulinelli persino nell’anima più limpida e pura.” e ci ritoviamo sperduti in una realtà che non ci è più familiare e che non sappiamo descrivere. Come la piccola Alice finiamo per rincorrere affannosamente la Verità e, ci ritroviamo dietro alla specchio, riflessi nostro malgrado (o per nostra fortuna, chissà!) nell’obbiettivo di Chiara, che con il suo enigmatico sorriso da Sfinge sembra sapere molto più di noi.
E forse, ce lo dirà proprio “Stasera”…"
Giulio Malaostia